Giovanni, l’eroe che sapeva sorridere

Giovanni,

chissà quante persone si chiamano Giovanni nel mondo, e chissà quanti di questi Giovanni si chiamano così per ricordarti. Sai, abbiamo appena letto il libro che narra la tua storia, quello che ha scritto Garlando nel quale si racconta di un ragazzo al quale il padre racconta la tua storia, portandolo in giro per Palermo a fargli vedere dove sei nato, vissuto, e, tristemente, anche morto.

Mi piace molto quel senso di tranquillità che trasmettono le tue foto, non sembri affatto uno che rischia la vita tutti i giorni, «un normalissimo Palermitano» probabilmente una persona che non ti conosce penserebbe questo, sei un eroe normale, come ti definisce Luigi Garlando: «Un eroe di tutti i giorni». Anche se non è proprio una cosa da tutti i giorni mettere a processo più di duecento mafiosi e condannarli. Ho visto le foto del processo: sorridevi. È difficile sorridere sapendo che a causa di quello che stai facendo rischi di morire anche mentre ti lavi la faccia la mattina. Addirittura ti sei dovuto sposare in un bunker, per il rischio di attentati, con tre o quattro invitati, sempre per il rischio di attentati. Deve essere proprio un mostro chi rischia di ucciderti al tuo matrimonio però immagino sorridessi perché comunque era il tuo matrimonio.

Sai chi mi ricordi? Kimi Raikkonen, al quale nessuno toglie mai il suo sorrisetto serio, ma amicone del suo compagno di scuderia, a te nessuno toglieva mai il tuo sorriso allegro amicone del tuo “compagno di scuderia” Paolo. Anche quando sei morto sorridevi  perché  su quella macchina c’erano anche tua moglie e il tuo autista e con loro sorridevi e scherzavi. Pensavi alla tua Palermo, alla mattanza di Favignana che tanto volevi vedere, quando eri a Roma erano le piccole cose a farti felice: la spesa la domenica, la cena alla sera con la finestra aperta (perché lì non ti sparavano dalla finestra), il cinema, le serate al ristorante… tutte cose che un giorno prima non potevi fare, ma che sono durate poco perché sulla strada di Palermo tutti sappiamo cosa è successo. Magari mentre tu morivi nasceva qualcun altro che un giorno completerà ciò che non hai finito e che sta continuando, a fatica, a liberare Palermo e l’Italia.

Ciao,

Davide Danelli

Emozioni e idee attraverso le immagini: la 2C a Brera

La classe 2a C si è recata alla Pinacoteca di Brera e alla Stazione Centrale per osservare alcune opere d’arte che fanno parte della loro cultura.

Giovedì 27 Aprile, la classe 2a C dell’Istituto Maria Immacolata, si è recata, per un’uscita culturale a Milano, dove è rimasta per tutta la mattinata. Prima di partire, la classe ha ascoltato rapita la lezione del professore di Arte Mauro Decarli che, con una linea del tempo, ha illustrato ai ragazzi i momenti più importanti della storia dell’arte e i vari stili che hanno attraversato le diverse epoche storiche e che si sono aggiunti, nel tempo, all’arte classica (anche attraverso immagini ed esempi comuni). La classe così è partita entusiasta da Gorgonzola e, dopo aver preso la metropolitana ed essersi goduta una divertente camminata nelle vie della grande città, è arrivata alla Pinacoteca di Brera, museo d’arte e cultura di Milano. Qui, attraverso uno stupendo viaggio nel tempo, hanno osservato i quadri e le opere che andavano dal 1200 fino al 1700 circa. I ragazzi così, attraverso la visita nella pinacoteca, hanno potuto osservare ciò che avevano appreso in classe. È stato un viaggio nel tempo che ha entusiasmato i ragazzi; partiti nel 1200 con l’arte gotica, sono arrivati nel 1900 con l’arte moderna e contemporanea, con cui si sono confrontati nella seconda parte della visita. Dopo la visita alla pinacoteca infatti, i ragazzi si sono avviati verso la Stazione Centrale. Qui hanno osservato la Mela reintegrata, opera contemporanea di Michelangelo Pistoletto, un artista contemporaneo molto conosciuto. Sono rimasti subito affascinati dalla sua maestosità ed imponenza. Dopo aver ascoltato la spiegazione del prof. Decarli i ragazzi hanno appreso il significato di quella strana scultura, il messaggio che voleva trasmettere e perché fosse stata posizionata proprio lì. I ragazzi sono rimasti entusiasmati da questa visita che, per loro, è stato una autentico viaggio nel tempo. Hanno percepito le emozioni che trasmettevano le opere ed hanno anche capito perché il professore di Arte dice sempre loro che le opere viste dal vero sono diverse da quelle viste in fotografia, dato che hanno avuto modo di provare questa esperienza in prima persona. Hanno visto opere d’arte che fanno parte della loro cultura e che hanno influenzato il mondo in cui vivono e l’hanno reso – e continuano a renderlo – un mondo migliore. Hanno osservato opere che conoscevano come Lo sposalizio della Vergine di Raffaello, La cena in Emmaus di Caravaggio e tante altre. È stata un’uscita intensa ed emozionante che ha colpito profondamente i ragazzi. Per capire le impressioni che ha suscitato la gita, abbiamo intervistato la professoressa Alice Patrioli, docente di Italiano, Storia e Geografia e l’alunna Chiara Bigatti. «È stata un’uscita  fantastica» ha dichiarato la prof.ssa Patrioli «I ragazzi erano davvero entusiasti, non li ho mai visti tanto felici. Anche i ragazzi più vivaci e solitamente disattenti erano rapiti dalle spiegazioni del prof. di Arte e devo dire che lo ero anche io. È stato come un viaggio nel tempo e gli studenti hanno imparato molto. Credo che, grazie ad esperienze come queste, i ragazzi possano imparare ed osservare divertendosi».

«Questa uscita mi è piaciuta davvero tantissimo, è stata bella» ci ha detto la studentessa Chiara Bigatti «Io sono una ragazza a cui piace molto scoprire ed osservare cose nuove, mi piace visitare e girare per musei e centri storici. Questo viaggio nel tempo mi ha appassionato fin dall’inizio; ero rapita dalle spiegazioni del professore di Arte. Era come se fossi entrata in un mondo nuovo e fantastico. A me piace molto osservare i quadri per scoprire i loro messaggi nascosti ed i misteri che celano. Penso che ci siamo divertiti tutti assieme, è stato come un piccolo gioco attraverso il quale abbiamo imparato tante cose. Abbiamo anche avuto l’occasione di poter scoprire e visitare un po’ la città di Milano che non conosciamo molto bene dato che viviamo in  città più piccole e ci è sembrata molto affascinante.»

Grazie a questa uscita i ragazzi hanno imparato ed osservato le opere d’arte dal 1200 fino ad oggi e ne sono stati felicissimi.

Francesca Rotondi

Sostiene Europa

Sostiene Europa di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, e il mare sfavillava. Quella mattina raccoglieva fiori con le amiche, vicino alla spiaggia, giacinti e candidi gigli. Lui si era avvicinato lentamente, era bianco come la neve e le sue corna sembravano spicchi di luna. Un giovane toro vagava sulla spiaggia. Da dove veniva? Come era arrivato? Europa non sa dirlo, ma ricorda di essersi avvicinata a lui senza paura. Nel suo sguardo non c’era minaccia. Europa intrecciava corone di fiori per il toro, lui offriva il muso alle sue carezze e lei non le rifiutava. Erano dolci i baci del toro e dalle sue narici usciva un profumo di fiori, sostiene Europa. È stato naturale salire sulla schiena di quell’animale docile e un po’ fatato. Chi avrebbe potuto prevedere che si sarebbe gettato in mare?

Sostiene Europa di aver visto la riva e le voci delle amiche farsi sempre più lontane, mentre il suo toro nuotava come un delfino. Europa vedeva solo onde e stelle intorno a sé, ma cominciava a pensare che quello che stava cavalcando non fosse né un toro né un delfino. Sostiene Europa che quando il toro raggiunse la terra e la depose sulla spiaggia, mutò il suo aspetto. E lei comprese che il toro bianco era un dio, grande e splendido. Europa non chiese nulla al dio, ma si lasciò amare per una lunga notte. Sostiene Europa di aver fatto un sogno prima dell’alba: un giovane alato accompagnava da lei una donna di bellezza solare. La donna le sorrideva e le parlava dolcemente, simile a una dea: «Dormi bene, piccola Europa, e al tuo risveglio non piangere, perché questa notte sei stata la sposa di Zeus. E impara a sopportare bene la tua grande sorte: una parte del mondo prenderà il tuo nome».

Sostiene Europa di non aver pianto. Nemmeno quando scoprì che il dio l’aveva abbandonata. Nemmeno quando dei pastori le dissero che si trovava a Creta, così lontana dalla sua casa, a Tiro, splendente città dei Fenici. Nemmeno quando pensò che non avrebbe mai più rivisto suo padre, il re Agenore, né il suo amato fratello Cadmo.

A Creta Europa allevò i suoi tre figli, uno di loro fu Minosse, che a lungo regnò sull’isola. Sostiene Europa che non bisogna credere alle voci che dicono che lei fu rapita da un marinaio cretese e non da Zeus. Sono chiacchiere di gente invidiosa della sua fortuna: essere amata da un dio non capita a tutte. E poi si sa che Zeus ama travestirsi per amare le donne mortali. Non vuole che sua moglie Era lo scopra. Fu un cigno per unirsi a Leda e una pioggia d’oro per entrare nelle stanze di Danae. Ma, sostiene Europa, per nessuna fu lo splendido toro che era stato per lei e a nessun’altra donò il nome di un continente. Sostiene Europa di aver pensato spesso a quella terra che avrebbe portato il suo nome e avrebbe guardato il mondo con grandi occhi. Perché questo significa il suo nome: «grandi occhi», sostiene Europa.

Pare che quando il tempo della sua vita stava per finire, Europa andò da una Sacerdotessa, che aveva il dono di conoscere il futuro e la interrogò.

E: La terra che prenderà il mio nome… riesci a vederla?

S: Non del tutto… i suoi confini sono sfumati. Si estende molto in larghezza, ma a nord e a sud la vista si confonde, forse è circondata dal mare. E del mare seguirà la legge rischiosa: esser vasta e diversa e insieme fissa.

Sostiene Europa di essere rimasta un po’ delusa da questa risposta. E allora volle insistere.

E: Ma la sua fama sarà grande o rimarrà una terra oscura e senza gloria?

S: Questo lo vedo con chiarezza: la sua fama sarà immensa. Tutte le terre conosciute ti ricorderanno, Europa, ma per quelle non ancora scoperte il tuo nome sarà marmo, manna e distruzione.

Sostiene Europa che questa notizia la rese triste e volle che la veggente la rassicurasse almeno un po’, perché Europa era vecchia e non voleva andarsene con quella tristezza nell’animo.

E: Cosa intendi dire? Non sarà una terra prospera e ben governata?

S: L’Europa crederà di poter costruire la propria ricchezza sulla distruzione di altre terre, e, quando le avrà distrutte, distruggerà se stessa con identica furia. I tuoi figli combatteranno gli uni contro gli altri. Un ombroso Lucifero scenderà su una prora del Tamigi, del Hudson, della Senna, scuotendo l’ali di bitume semimozze dalla fatica, a dirti: è l’ora.

Sostiene Europa che quei nomi sconosciuti le percorsero la schiena come un brivido, provò terrore e pensò che non voleva andarsene con quella paura nell’animo.

E: E sarà così per sempre?

S: No. Raggiunto il culmine della lotta, i tuoi figli saranno finalmente stanchi di guerra e si ricorderanno che sono nati liberi, uguali e soprattutto fratelli. Ma la loro non sarà una facile unione. Altro dirti non so. Non chiedermi la parola che squadri da ogni lato il tuo continente informe.

La risposta parve a Europa definitiva. Allora lasciò riposare la veggente, che in quel momento le parve molto più vecchia di lei, sostiene Europa.

Alice Patrioli

Correva l’anno 1957: l’Europa unita compie 60 anni

 

Dopo le tragedie e la sofferenza delle due guerre mondiali la formazione della CECA rappresenta un faro di luce per Francia, Italia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Germania occidentale. All’inizio l’obiettivo della creazione della CECA è quello di promuovere la cooperazione economica tra i sei stati fondatori, che nel 1951 firmano il trattato di Parigi istituendo – appunto – la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio con lo scopo di mettere in comune la produzione di carbone e acciaio tra gli stati aderenti. Nel periodo che segue la creazione della CECA i sei stati si focalizzano non solo sull’economia ma anche sui princìpi sociali e politici che devono essere comuni a tutti gli stati, per esempio il rispetto dei diritti umani e la creazione di istituzioni trasparenti e democratiche. Su questi pilastri si è costruita e rafforzata l’Unione Europea che oggi conosciamo. Ma agli stati occorre non solo un’unione economica, bensì politica. Così, il 25 marzo 1957 nasce la CEE: Comunità Economica Europea, quando i sei Stati della CECA (Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi) firmano i trattati di Roma, che entrano in vigore il 1º gennaio 1958. La CEE aveva nei suoi obiettivi l’unione economica dei suoi membri, fino a portare ad un’eventuale unione politica. Lavorò per il libero movimento dei beni, dei servizi, dei lavoratori e dei capitali, per l’abolizione dei cartelli  e per lo sviluppo di politiche congiunte e reciproche nel campo del lavoro, dello stato sociale, dell’agricoltura, dei trasporti, del commercio estero. La CEE costituì una rivoluzione nelle relazioni tra gli stati europei aderenti.

L’Unione Europea, gigante mondiale in grado di rivaleggiare con Cina e Stati Uniti e di superarli, nata per continuare il progetto della CEE e per ampliarne i compiti, in questo periodo sta attraversando una seria crisi che ha portato a vari episodi che l’hanno fatta apparire come un’istituzione negativa. Gli esempi più eclatanti sono due. Il primo è la Brexit in Inghilterra: “L’UE a Londra: ‘ci rimpiangerete’ ”, titola così, in prima pagina, il Corriere della sera del 30 Marzo, alludendo chiaramente alla Brexit con la quale il Regno Unito – che,  evidentemente, invece di collaborare per risolvere i problemi interni all’Unione, preferisce evitarli – una volta terminate le procedure burocratiche, non farà più parte della UE . Il secondo, che ha scatenato una grande polemica, è il discorso fatto dal ministro delle finanze olandese, nonché presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, nel quale ha dichiarato che i Paesi del Sud Europa “spendono tutti i soldi in alcol e donne e poi chiedono aiuto ai Paesi del Nord”.

La UE, inutile negarlo, è in un forte periodo di crisi. Il divario economico tra Paesi del Nord e del Sud è molto grande. I risultati ottenuti da un’indagine svolta nel 2016 dalla Camera di Commercio di Milano e Brianza, condotta su un’elaborazione dei dati Istat riguardo alla Fuga dei Cervelli, sono allarmanti. Infatti, dal 2014 al 2016, gli italiani costretti a “fuggire” all’estero per cercare lavoro sono aumentati del 34 %. In un’Europa in cui una parte è più sviluppata dell’altra il futuro dei giovani può essere diverso: un futuro migliore nel Nord Europa ed uno meno roseo al Sud. È doveroso tuttavia guardare l’altra faccia della medaglia: l’UE garantisce la libera circolazione di merci e persone sul suolo europeo senza il pagamento di dazi, inoltre l’UE conta su una forte tutela dei diritti umani. Questi sono i suoi punti forti, ai quali si dovrebbe guardare con fiducia e speranza nel progresso invece di evidenziare solamente i punti deboli. Il futuro dei giovani è difficile, ma non è così catastrofico come molti vogliono far credere, può essere anzi un futuro di speranza. L’UE può  garantire ai giovani un forte punto di appoggio economico ma anche sociale, può dare occasioni e vantaggi che, negli anni precedenti, non ci sono mai stati. Il fatto che negli stati membri dell’UE si possa viaggiare liberamente è, in realtà, qualcosa mai successo prima e, anche se può sembrare una cosa banale, è simbolo dello sviluppo della società in cui viviamo. L’UE può dare un futuro migliore ai giovani facendo crescere la società in cui vivono per far sì che, nel loro piccolo, gli stati che ne fanno parte siano un luogo sicuro ma anche un luogo migliore.

L’UE è in continua crescita. Nata come CECA si è poi evoluta nel tempo diventando ciò che noi conosciamo come Unione Europea. Probabilmente i fondatori della CECA non avevano previsto un tale sviluppo anche se  probabilmente speravano di aver creato una istituzione che potesse rendere il futuro migliore. E per costruire tale futuro migliore sarebbe giusto che i Paesi più ricchi, invece di lasciarsi sopraffare dai pregiudizi, aiutassero i Paesi in difficoltà, come prevede uno dei principi fondamentali dell’Unione stessa. L’UE potrà avere anche i sui momenti di crisi (per i quali ci si “scandalizza” senza rendersi conto che sono del tutto normali) ma ha ed avrà anche i suoi momenti di splendore e resterà per sempre un faro di luce per i giovani che costruiranno il futuro. Come si dice: dopo la pioggia, spunta sempre un bellissimo arcobaleno.

Eccoci qua, nel 2017, con 60 anni di accordi fra stati alle spalle e con un tesoro così bello e prezioso fra le mani che è nostro compito far crescere: l’Unione Europea. Il futuro è nelle nostre mani!

 

Letizia Alongi

Chiara Bigatti

Marco Cereda

Francesca Rotondi

L’Europa in marcia con Macron

Emmanuel Macron, trentanove anni, è il nuovo presidente della Francia: lo sguardo di un giovane che sa di aver compiuto un’impresa. Mentre pronunciava il suo primo discorso da presidente, nella piazza del Louvre risuonava l’Inno alla gioia. In quel luogo è iniziata una nuova pagina di storia per il Paese e per l’Europa.

Da domenica 7 maggio, l’Europa ha un nuovo leader: Emmanuel Macron. Una vittoria contro l’avanzata apparentemente inarrestabile dei nazionalismi, un vento di speranza per quelle classi sociali le cui difficoltà e paure sono state, durante tutta la campagna elettorale, strumentalizzate dalla candidata di estrema destra, Marine Le Pen.

Una vittoria schiacciante la sua, al ballottaggio ottiene ben il 66,1% dei voti contro l’esiguo 33,9% della candidata del Front National. Macron ha dimostrato l’inutilità delle parole d’ordine dei nazionalisti e ha opposto alla paura la fiducia, all’individualismo la solidarietà, al potere delle nazioni la visione di un’Europa più solida e più unita in un mondo spaventosamente in tumulto, in un’epoca in cui le fragilità e i divari si moltiplicano.

Quei 20 milioni di voti finiti al leader di En Marche! racchiudono le ragioni di chi è nemico dei muri e del razzismo e ribadiscono la necessità di iniettare un barlume di speranza, quasi di sogno, agli elettori, contro ogni catastrofismo.

Il populismo tiene, ha il morso ben saldo sull’Europa e nel mondo, ma il suo fascino banale inizia a incrinarsi. Il poetico ingresso alla spianata del Louvre sull’Inno alla gioia suonato prima della Marsigliese sarebbe apparso fantascienza pura appena qualche mese fa. Oggi invece è un momento storico in cui milioni di cittadini del Vecchio Continente hanno scelto, come poche settimane prima i loro fratelli austriaci e olandesi, di non buttare settant’anni di pace e sessanta di unione, fratellanza e sviluppo sull’onda di un decennio ricco di emozioni.

Il popolo francese ha scelto di riprovarci, questa volta affidandosi a una ricetta inedita: un movimento liberale ma trasversale, con lo scopo di difendere la Francia all’interno di un’Europa più integrata. Se infatti gli attuali dirigenti politici abbandoneranno la strada degli Stati Uniti d’Europa, cedendo ai colpi dei vari nazionalismi, a pagarne le conseguenze saranno le ragazze e i ragazzi di oggi e di domani.

Migliaia di persone hanno deciso di impegnarsi affinché l’Europa che abbiamo conosciuto non scompaia.

È il momento per noi, di raccogliere idealmente il testimone da quelle persone che, nelle macerie del Dopoguerra, iniziarono il cammino europeista e la creazione del nuovo soggetto politico. L’Europa non deve essere solo un dibattito tecnico sui dettagli e sui vincoli, ma deve tornare ad essere quello che fu per Spinelli, per Rossi: un grande sogno la cui forza è capace di smuovere anche le frontiere di un confino, i muri di un carcere.

Tutto questo era l’Europa per quei “sognatori coi piedi per terra” che hanno scritto il manifesto di Ventotene. La benzina dell’Europa è stato un ideale. Il nazionalismo, la xenofobia, l’odio hanno reso l’Europa un cumulo di macerie, non molti decenni or sono.

Nel sonno della memoria che ci rende ciechi vogliamo non vedere questo pericolo?

È in atto una rinnovata Resistenza contemporanea. Il futuro del Vecchio Continente dipenderà da come la nostra generazione, noi non qualcun altro, riuscirà a cambiare l’Europa di oggi.

Ieri, come oggi e come domani: Liberté, Égalité, Fraternité!

Giulia Porrino

Dal Gran tour all’Interrail: i giovani alla scoperta dell’Europa

A partire dal XVII secolo tra le famiglie aristocratiche si diffuse la moda del gran tour: i giovani delle classi benestanti usavano  intraprendere lunghi viaggi nelle principali città europee.

Lontani per mesi – o anche per anni – dalla propria famiglia, dalla propria casa e dalla propria terra d’origine essi si garantivano una opportunità di crescita culturale in grado di aprire il loro sguardo sull’orizzonte continentale.

Durante questi veri e propri “giri turistici” i giovani aristocratici venivano a contatto con la cultura, la politica, l’arte, le tradizioni, i pensieri di Paesi diversi dal proprio, studiando e facendo acquisti.

Celebre meta era proprio l’Italia con la sua storia e i suoi monumenti antichi (in particolare Roma, Napoli, Pompei e la Sicilia) ma non meno ambite Parigi, Calais, Lione e Marsiglia attiravano numerosi viaggiatori in Francia.

Letters from several parts of Europe and the East è un esempio di reportage epistolare di viaggio settecentesco scritta dal britannico dott. Maihows: in questo scritto egli racconta la sua esperienza in Italia e in Francia guidato dal desiderio di arricchire le proprie conoscenze, più che in ambito artistico, storico, politico e letterario, in ambito scientifico e tecnologico.

La sua descrizione di Genova, Milano, Venezia, Ferrara, Ravenna, Rimini, Roma, Napoli, Ercolano e molte altre città ci fornisce una immagine della nostra penisola di più di due secoli fa.

Ma è proprio finita l’era dei gran tour? I giovani di oggi apprendono solo tra i banchi di scuola? Forse si pensa che ormai basti una connessione internet per scoprire tutto ciò che c’è da scoprire sul nostro continente?

No: l’era dei gran tour non è affatto finita e i giovani del ventunesimo secolo hanno la possibilità di allargare i propri orizzonti proprio come i giovani del Settecento.

Guardare sfrecciare i campi e le strade fuori da finestrino, conoscere coetanei con lo zaino in spalla, assaporare i piatti tradizionali italiani, godersi il panorama serale dalla Torre Eiffel, toccare con mano i mattoni del muro di Berlino, sentire il suono dei rintocchi del Big Bang, imparare a spostarsi autonomamente, a comunicare con chi è diverso e conoscere il suo mondo… tutto questo non potrà mai essere sostituito completamente dallo studio sui libri.

È per questo motivo che i Paesi Europei dal 1972 offrono ai giovani cittadini la possibilità di conoscere il proprio continente con alcune iniziative come quella dell’Interrail: un biglietto ferroviario che permette viaggi illimitati in Europa a prezzi accessibili.

Per l’estate 2017, in particolare, l’Ue propone un’interessante formula di viaggio:  costa soli 99 euro  – scoprire il mondo ormai non è più solo un lusso per aristocratici –  il pass Flixbus per giovani maggiorenni desiderosi di conoscere 5 località europee a scelta tra 900 destinazioni!

Che cosa aspetti allora? Non perderti questa occasione di crescita, informati, scopri le offerte migliori, scegli le tue mete e i tuoi compagni di viaggio, prepara lo zaino e parti per il tuo gran tour!

Chiara Rigoldi

Tradizioni culinarie in UE

Suddividendo l’Europa in più aree geografiche – nord Europa, Europa centrale, sud Europa, Europa dell’est e Europa occidentale -, si possono trovare tradizioni culinarie differenti da zona a zona del Continente. Andando per ordine ecco una breve analisi delle caratteristiche di ognuna, prendendo i Paesi più rappresentativi come Stati-campione, (anche se si ricorda che, come ogni esperienza degna di questo nome, la cosa migliore resta sperimentare il sapore della cucina europea sul proprio palato):

Nord Europa: Svezia e Lettonia

La cucina svedese (Svenska köket) è essenzialmente costituita da zuppe per quanto riguarda i primi piatti, mentre a primeggiare tra i secondi è il pesce, specie l’aringa, la quale viene cucinata in numerosi modi. Le carni più utilizzate sono quelle di alce, maiale, vitello e renna e spesso vengono accompagnate da marmellate. Per i dolci uno degli ingredienti maggiormente utilizzati è lo zenzero, altri dessert degni di nota sono i lussekatter (dolci a base di uva passa e zafferano) e i kanelbulle (rotolini alla cannella).

La cucina lituana (Lietuviška virtuvė) è stata fortemente influenzata da quella polacca e scandinava. Gli ingredienti più comuni sono patate e carne suina, che stanno infatti alla base di uno dei piatti tipici, ovvero il Cepelinai (detto anche Zeppelin). Oltre a questi è molto utilizzata anche la panna acida, comunissima nella cucina baltica in generale, con cui si prepara la zuppa di barbabietole e panna acida.

Europa Centrale: Ungheria e Germania

La cucina dell’Ungheria (Magyar konyha) predilige sapori forti e intensi, ottenuti grazie all’uso abbondante di spezie, come pepe e paprika. La portata più celebre è il gulasch, una minestra di cipolla e paprika con carne, carote e patate. Altri piatti tipici sono: lo székelygulyás (spezzatino di maiale con panna acida, paprika e crauti) e lo hortobágyi húsos palacsinta (crespelle ripiene di carne tritata). Come dolce il più conosciuto è il bejgli, un rotolo alle noci o ai semi di papavero preparato solitamente per Natale e Pasqua.

La cucina tedesca (Deutsche Küche) è ben più varia di quanto si possa pensare: oltre alle classiche patate e salsicce e alla tradizionale birra, presenta accostamenti più particolari. Ad affiancare i cibi sopracitati ci sono vivande meno note soprattutto nel pesce, ad esempio le zuppe di aragosta e di vongole e le aringhe marinate. Il dolce più conosciuto è lo strudel.

Sud Europa: Spagna e Grecia

La cucina spagnola (gastronomía de España) ha il merito di aver introdotto nel 1500 alimenti di importazione americana.

Il piatto più conosciuto è la paella, essa è di origine valenciana ed è diffusa ormai in tutto il Mediterraneo e in America Latina e costituisce anche l’archetipo del piatto unico. Alla versione più “tradizionale” se ne affiancano altre, come la paella de mariscos con i frutti di mare. Per quanto riguarda la carne e il pesce essi sono maggiormente diffusi nelle zone costiere rispetto che alla zona centrale; le pietanze più conosciute sono il cocido e il cochinillo per il primo e la zarzuela de mariscos e il baccalà alla vizcayna per il secondo.

La cucina greca (Ελληνική κουζίνα) è caratterizzata da numerosi antipasti che aprono il pranzo, seguiti da piatti a base di carne o pesce o insalata e formaggi.

Per quanto riguarda gli antipasti (mezédes), essi possono andare da semplici sottaceti a pietanze più ricche e elaborate, come i pitákia e i dolmàdes.

Le portate principali sono a base di carne, tra queste si ricordano souvlàkia, spiedini cotti ai ferri e il gyros, una specie di kebab di vitello di influenza turco-araba. Tra i dolci ci sono ingredienti ricorrenti come frutta, sesamo e mandorle; con le ultime vengono prodotti i kataífi e i baklavàs (rispettivamente una sfoglia con mandorle bagnata di sciroppo e una sfoglia con strati di mandorle e miele).

Europa occidentale: Olanda e Francia

Con cucina olandese (Nederlandse keuken) si intendono le tradizioni gastronomiche dei Paesi Bassi.

I primi si basano principalmente su zuppe (bruine bonensoep e humkessoep per citarne alcune) con prosciutto, salsiccia, patate e fagioli. Tra i secondi spicca il pesce, specie l’aringa, i mitili e il merluzzo, oltre ad altre specie ittiche che vengono perlopiù fritte. Anche i formaggi e le carni hanno un ruolo di rilievo nella cucina olandese: con queste ultime vengono preparate le salsicce (frikandel e rookworst tra le tante) e altri piatti come il klapstuk (brasato di manzo), mentre l’edam è il formaggio tipico.

La cucina francese (cuisine française) ha risentito molto della storia che ne ha modificato le abitudini, inoltre non si può propriamente parlare di “tradizione culinaria francese” siccome si riscontrano numerose differenze nella nazione, tant’è che ogni regione è diversa dall’altra.

Piatti noti in tutta la Francia sono la zuppa di cipolle gratinate e la quiche, una specie di torta salata che fa da antipasto. Lo Stato è celeberrimo soprattutto per le crèpes, che possono eseere sia dolci che salate (in quest’ultimo caso prendono il nome di galettes) e per le ostriche gratinate e non, che si possono degustare nelle regioni a nord sulla costa, quali Bretagna e Normandia. Per i dolci sono conosciuti la torta Tatin, gli éclairs e la Saint Honoré.

Europa orientale: Russia e Bulgaria

La cucina russa (Русская кухня), come quella francese, varia da zona a zona, anche se prodotti comuni, specie tra i ceti popolari dei secoli addietro, sono cereali e ortaggi. Altri cibi usati comunemente dalla popolazione sono zuppe e minestre, mentre i dolci tipici sono legati alla panetteria, tra questi elenchiamo: il kalac, un tipo di pane, e il prjanic, una specie di pan pepato. Oltre a questi c’è il pirog, una pietanza di pasta che può essere dolce o salata, con i più svariati ripieni e forme, e che si collega al focolare domestico.

La cucina bulgara (българска кухня) è molto variegata, grazie anche alla varietà geografica. La maggior parte dei piatti vengono cucinati al forno, al vapore o come spezzatini, oltre ad una grande abbondanza di zuppe. Tra i piatti principali ci sono il pilaf (riso con carne tritata, verdure o cozze) e la carpa ripiena (preparata per la festa di San Nicola). Riguardo ai dolci i più famosi sono la banitsa, fatta con uova sbattute e sìrene (formaggio tipico) messi tra fogli di pasta e il baklava, originariamente turco ma diffuso in Bulgaria, costituito da zucchero e frutta secca avvolti da pasta fillo.

Giada Muzio

 

Correva l’anno 1917: Lettere dal fronte della Grande Guerra

San Martino del Carso, 8/11/1917

Cara Elisa,

non hai idea di quanto io sia felice di scriverti. Ti prego di scusarmi per non averti scritto prima, ma non potevo. La situazione era troppo tesa. Oggi sembra che gli Austriaci abbiano deciso di restare nelle trincee a riposare, io resto nella trincea a scriverti.

In questo momento tu sei la mia unica ragione di vita, insieme ad Alberto. Speriamo che la guerra finisca al più presto così vedrò il nostro angioletto per la prima volta, gli hai parlato di me, il papà soldato che combatte per la patria? In ogni momento penso a te, in ogni momento Alberto è la mia speranza.

In queste fosse che i generali definiscono «trincee» non ci si riesce a muovere, la conca scavata dalla mia schiena è il mio letto e il pane che ci danno da mangiare ha lo stesso sapore dell’erba secca, quella che cresce oltre le trincee, perché di erba qui non ce n’è neanche l’ombra: è stata spazzata via tutta dalle mitragliatrici. Di vedere se ce n’è ancora nessuno di noi ha voglia perché significherebbe mettere fuori la testa, cioè, molto probabilmente, non tornare più a casa.

Abbiamo già fatto due tentativi di assaltare gli Austriaci, ma i nostri soldati non ce l’hanno fatta. Ora i loro corpi sono lì, per terra, nessuno li seppellirà mai perché sono solo alcuni dei molti morti che ci sono stati e che ci saranno in questa guerra. Morti causati anche dai nostri generali, che se ne stanno seduti nelle loro capannette a mangiare e a programmare questi attacchi suicidi. Spero solo che non mandino me.

In queste trincee impari le cose più importanti, cioè non farti amici in guerra e non fare l’eroe: se ti fai degli amici, soffri quando muoiono, se fai l’eroe sei tu a morire.

Ho paura Elisa, ho paura di lasciarti vedova e farti soffrire, di lasciare orfano un bambino senza averlo mai visto. La vita è fragile, la spezzi con un dito, premendo il grilletto. Ma gli Austriaci non sono gli unici nemici, gli unici che uccidono. Ad ogni uomo che uccidi muori dentro e dopo un po’ non vorresti più premere il grilletto. È così per tutti gli uomini.

Una volta conobbi un uomo, simpatico e gentile, riusciva a tirarmi su il morale e poi mi capiva: anche lui aveva un figlio e una moglie. Scriveva loro tutti i giorni, era un compagno unico. Un giorno cominciò a tossire, poi a tossire sangue. Mi preoccupai e decisi di chiamare il medico. Arrivò, mise per terra la borsa, osservò il sangue che tossiva il mio amico.

Non ebbe dubbi: tubercolosi. Gli restai vicino per tutto il tempo che potevo. Poi i generali decisero di organizzare un altro attacco suicida. Io ero nel gruppo, vennero a chiamarmi:«Mauro Notargiacomo dov’è? Mauro Notargiacomo!». Mi mancò il respiro, ero di fianco a Giorgio – l’amico di cui ti stavo parlando –, lui mi capì. Si alzò e disse: «Eccomi!». Lo guardai come per chiedergli cosa stesse facendo, Giorgio mi disse: «Tanto sono già morto, almeno uno di noi due rivedrà la sua famiglia. Manda una lettera a mia moglie, dille che la amo». Andò, non lo vidi più: ha preferito morire per farmi continuare – Dio sa per quanto – la mia vita.

Da quel giorno non legai più con nessuno, perché Giorgio era insostituibile. Spero solo di tornare a casa, anche per non rendere vana la morte di Giorgio.

Ti amo,

Mauro

 

Milano, 11/11/1917

Caro Mauro,

qui a casa stiamo tutti bene, Alberto ha imparato a dire «mamma». Adesso gli sto insegnando a dire «papà». Comunque sì, gli racconto chi sei. Tua madre è venuta a stare da noi per aiutarmi a gestire la casa ora che non ci sei tu. Sentiamo tutti molto la tua mancanza. Tua mamma è distrutta, anche se apparentemente non lo sembra, è proprio in gamba!

Mi dispiace molto per il tuo amico, ti prego non ammalarti anche tu e tieniti fuori dai guai. Approfitta di questo momento di tregua per scrivermi. Dopo tutto quel tempo che non mi mandavi una lettera, qui a casa abbiamo cominciato a temere che fossi morto: mi hai fatto spaventare e hai fatto spaventare anche tua madre. Mi raccomando, testa bassa e lontano dagli attacchi suicidi, la nostra vita insieme è ancora lunga. Ogni domenica vado in chiesa per pregare Dio di farti tornare.

Vorrei tanto poter fare qualcosa per aiutarti, quindi, visto che il pane che mangi è disgustoso, ti metto del cioccolato nella busta. Condividilo con qualcuno e fatti un amico, perché non sono d’accordo sulla decisione di non farti degli amici, da solo è molto più difficile continuare.

Ti prego, non riesco a immaginarti da solo fra i proiettili. Siamo tutti in pena per te. Scrivimi appena possibile.

Elisa

Mauro Notargiacomo

Correva l’anno 1267: Giotto, una rivoluzione nell’arte

Uno dei più grandi artisti della storia, Giotto fu colui che per primo rivoluzionò la realizzazione dei personaggi in un quadro facendo in modo che essi non seguissero più l’ideale delle miniature medievali ma assumessero un loro volto, delle loro emozioni. Tuttavia le notizie circa la sua vita sono poche e incerte, anche solo quelle riguardanti la sua famiglia. Per esempio, alcuni suppongono che sia nato da una famiglia contadina, mentre altri hanno sostenuto che fosse figlio di un fabbro. Anche la data stessa non è sicura, però si ritiene che egli sia nato nel 1267 a Colle di Vespignàno, nell’attuale comune italiano di Vicchio della città metropolitana di Firenze, situato nella valle del Mugello, in Toscana. Una minoranza tende a porre la sua data di nascita nel 1276, secondo la cronologia che nella seconda metà del XVI secolo offrì Vasari nella biografia dedicata all’artista.

Incerte sono anche le informazioni sulla sua prima formazione, ma si può affermare con sicurezza che è stato allievo di Cimabue, con cui ha collaborato alla realizzazione di alcune opere come gli affreschi del ciclo di Assisi nella Chiesa Superiore della basilica francescana di Assisi nel 1290.

Viene invece considerata come una leggenda il fatto che il maestro abbia scoperto le sue abilità osservandolo disegnare su una pietra piatta una delle pecore che stavano portando al pascolo, così come altri episodi legati alla vita che conduceva con il maestro e che sono stati riportati sempre dal Vasari nel suo testo, come quello secondo cui Giotto fosse in grado di disegnare una perfetta circonferenza senza l’aiuto del compasso.

Nel 1280 compì un viaggio a Roma molto importante per la sua formazione, in quanto viene a contatto con la pittura e i mosaici del IV e V secolo, nonché con gli artisti Pietro Cavallini, Arnolfo, Jacopo Torriti e Filippo Rusuti.

Nel 1287 si sposò con Ciuta (Ricevuta) di Lapo del Pela. Ebbero quattro figlie e quattro figli, dei quali uno, Francesco, divenne pittore.

Tra il 1290 e il 1296 collaborò con Cimabue alla realizzazione del già citato Ciclo di Assisi nella Chiesa Superiore della basilica di San Francesco, per poi tornare nel 1300 a Roma in occasione del Giubileo, ma di questo periodo non sono state rinvenute fonti.

Da qui in poi compie diversi viaggi, di cui i più importanti sono il soggiorno a Padova, dove tra il 1304 e il 1306 affrescò la cappella degli Scrovegni, quello a Napoli presso Roberto d’Angiò e quello a Milano presso i Visconti, ma anche di questo periodo, come per quello romano, non sono state rinvenute fonti alcune.

portante è l’affido del cantiere di Santa Maria del Fiore nel 1334 a Firenze, dove morì l’8 Gennaio di tre anni dopo. La sua figura venne ben stimata persino dalle tre corone fiorentine.

La poetica

Come già sottolineato, Giotto fu colui che per primo diede un volto espressivo ai personaggi, emozioni che vengono sottolineate anche dai gesti delle figure stesse. Non dipinse più in greco, ma in latino, rompendo così la tradizione della pittura bizantina che sino ad allora era stata seguita. Utilizzò una nuova prospettiva e in modo diverso i colori, riuscendo anche attraverso la tecnica del chiaroscuro a dare nuovo volume ai personaggi, che vengono rappresentati con una nuova libertà di movimento rispetto a quelli della tradizione precedente. Cambiò anche il modo di rappresentare gli spazi, che divennero più tridimensionali e verosimili, inoltre introdusse l’uso del colore azzurro per la realizzazione del cielo. Le rappresentazioni stesse diventano più verosimili, semplici e naturali. Riassumendo, i punti su cui verge la sua poetica sono:

  • Un nuovo uso del colore.
  • Una nuova realizzazione dei personaggi e degli spazi.
  • Un nuovo uso della prospettiva.

Nicoletta Lamperti

 

Dante, Michelangelo e tanti animali

Ci si aspettava un tale successo? La risposta è no. Invece è stata un’idea geniale quella dell’IMI. La gita a Milano del 23 febbraio 2017, infatti, ha riscosso un esito molto positivo, non tanto per i luoghi visitati quanto per l’intento di fare imparare ai ragazzi qualcosa di nuovo in modo diverso.

La giornata dei ragazzi della 2° media C si è svolta in questo modo. Dopo aver preso la metropolitana di Gorgonzola ed essere scesi a Milano, sotto la guida della prof.ssa Alice Patrioli, docente di Lettere, e del prof. Mauro Decarli, insegnante di Disegno Artistico e Storia dell’Arte, i ragazzi sono giunti al Museo di Storia Naturale di Milano. Essendosi incrociati i programmi di Letteratura e Scienze, si è deciso di unire le due materie. Mi spiego meglio: in Letteratura, i ragazzi stanno iniziando a rapportarsi con la Divina Commedia di Dante e hanno appena affrontato il programma di Scienze sugli animali: quale tema migliore se non “Gli Animali nella Divina Commedia”? Il percorso si svolgeva così: la guida citava il verso in cui veniva nominato un tale animale, lo commentava e poi, essendo la guida uno zoologo ed essendoci nel museo una grande collezione di animali imbalsamati, descriveva alla classe le caratteristiche di quell’animale in modo molto semplice, senza rendere pesante la spiegazione. Se ci pensiamo, è un’idea molto intelligente: due ore separate di Letteratura e Scienze sono molto impegnative; invece un’ora al Museo di Storia Naturale di Milano, comprendente entrambe le materie, sviluppa l’apprendimento in quanto i ragazzi non poltriscono scaldando la sedia, sognando magari di essere al mare a prendere il sole, ma sono coinvolti in prima persona, sentendosi stimolati nella propria intelligenza.

Usciti dal Museo, i ragazzi si sono concessi una pausa, consumando le proprie merende. Ma non c’era molto tempo a disposizione, perciò i ragazzi si sono diretti verso il Castello Sforzesco per ammirare il capolavoro di Michelangelo: la Pietà Rondanini. Il ruolo di guida, questa volta, era affidato al prof. Decarli. Guardando dal vivo le opere d’arte, che non sono state pensate per apparire in foto, l’emozione è più forte, si ha la consapevolezza che quel blocco di pietra è stato scolpito da un uomo divenuto leggenda. Forse è questo ciò a cui servono le gite scolastiche. E questo l’IMI sembra averlo capito.

Marco Cereda

A Palazzo Reale con Manet

Impressionismo: corrente artistica nata a Parigi alla fine dell’Ottocento. Questa s’ispira al Romanticismo, infatti in ogni opera possiamo notare come si possano percepire emozioni, come ogni sentimento del pittore fuoriesca e venga comunicato all’osservatore attraverso ogni pennellata diversa l’una dall’altra. Tra i maggiori esponenti dell’impressionismo possiamo trovare grandi nomi come Manet (considerato il padre di questo movimento artistico), Monet, Van Gogh, Degas e Renoir, se vogliamo citarne solo alcuni. Criticato dalla società del tempo, l’impressionismo vede riconosciuto il suo vero valore solo nel XX secolo, quando i critici d’arte riescono a comprendere pienamente questo stile così unico e particolare. Un carattere che contraddistingue questa corrente artistica è la pittura all’aria aperta: questa permetteva di osservare meglio la natura (soggetto prediletto dagli impressionisti insieme alle scene di vita quotidiana) e di completare il dipinto nel giro di pochi minuti.

Possiamo ammirare tutto questo nella mostra intitolata “Manet e la Parigi moderna” che si sta svolgendo a Palazzo Reale a Milano fino al 2 luglio. Questa espone numerosi quadri provenienti dal Musée d’Orsay di Parigi tra cui potrete trovare Il balcone di Manet, Il foyer della danza al teatro dell’Opera di Degas e Il pifferaio sempre di Manet. Questa mostra vuole mettere in evidenza come l’impressionismo descriva la Parigi moderna, la rinascita di una nuova epoca caratterizzata dal progresso della rivoluzione industriale, infatti possiamo trovare numerose riprese prospettiche della nuova Parigi rappresentanti il palazzo dell’industria e i nuovi edifici creati per l’Esposizione Universale del 1889.

I veri protagonisti di questa rassegna artistica sono le scene di vita quotidiana, come la cameriera che porta la birra all’uomo con la pipa nel dipinto La cameriera, la vita nei teatri, grandi luoghi d’incontro dell’alta società parigina, la vita notturna nei cabaret e la nascita dei caffè in cui i borghesi discutevano di ogni tematica. Uno dei dipinti più affascinanti di tutta la mostra resta Il balcone di Edouard Manet. In questo quadro troviamo tre soggetti principali, in primo piano troviamo la già nota Berthe  Morisot, pittrice e amica di Manet, presente in alcuni suoi quadri, e altri due suoi amici. Un aspetto particolare è rappresentato dal fatto che i tre soggetti non sono in relazione fra loro ma sembrano immersi nei loro pensieri con diverse pose, la prima seduta  e appoggiata al balcone, la seconda in piedi che porta fra le mani un ombrello e l’uomo, che rappresenta la borghesia, in piedi con aria disinvolta. Spiccano tra le candide vesti delle due fanciulle colori vivaci come il verde che viene ripreso nella ringhiera e nelle imposte.

Un altro quadro simbolo della mostra è Il pifferaio, opera anch’esso di Manet. Questo dipinto è caratterizzato dall’utilizzo di pochi colori ma intensi come il rosso, il giallo e il nero per l’abito del bambino e lo sfondo di colore grigio, estesi con poche sfumature, anzi, si tratta per la maggior parte colori piatti. Il soggetto in questione è un bambino che suona il flauto, probabilmente proveniente da una banda, vestito con la sua uniforme, suona concentrato il suo strumento. Le sfumature di colore le possiamo trovare nel panneggio dei pantaloni e sulla custodia d’ottone portata a tracolla dal ragazzino. Lo sfondo grigio è per la maggior parte piatto, infatti a malapena si riesce a distinguere il piano orizzontale da quello verticale. Con questo ritratto l’artista impiega uno stile audace e rivoluzionario  per la scelta del soggetto che rappresenta il rinnovamento della gerarchia dei generi. Altre decine di magnifiche opere attendono il pubblico in questa stupenda mostra, perciò consiglio agli amanti dell’arte di non lasciarsela scappare e di correre a Palazzo Reale. Da non perdere.

Amira Rimoldi